mercoledì 22 aprile 2015

DIVORZIO BREVE VITTORIA PER IL PAESE, ORA AVANTI SU ALTRI DIRITTI CIVILI


“L’approvazione definitiva della legge sul divorzio breve rappresenta un passo importante che cancella una situazione anacronistica e risponde alle aspettative dei cittadini e delle cittadine. E’ una vittoria dei socialisti che in prima lettura alla Camera hanno proposto l’emendamento che riduce a sei mesi i tempi per ottenere il divorzio consensuale, ed è una vittoria per il Paese”. Lo afferma Pia Locatelli, presidente onoraria dell’Internazionale socialista donne e deputata del Psi, intervenendo alla Camera per la dichiarazione di voto sul provvedimento.

“Certo si poteva fare di più e di meglio – ha aggiunto la parlamentare socialista – soprattutto per quanto riguarda lo stralcio da parte del Senato dell’emendamento che avrebbe consentito, in assenza di figli minori o “non indipendenti”, la dissoluzione rapida del matrimonio senza passare per la separazione. Ma il meglio spesso è nemico del bene. Ci auguriamo adesso che questo provvedimento faccia da apripista per le altre leggi sui diritti civili, dalla legge sulle coppie di fatto, omo e etero, a quella per il fine vita, sulle quali siamo ancora in spaventoso ritardo”.

il mio intervento in Aula
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Finalmente ci siamo. Da molti anni, siamo alla terza legislatura, la legge sulla riduzione dei tempi per il divorzio vaga senza esito in Parlamento; ora sembra che sia la volta buona.
Oggi, dopo le modifiche apportate dal Senato, sulle quali i socialisti hanno sollevato critiche, andiamo a modificare una legge di 45 anni fa, promossa dal socialista Loris Fortuna e dal liberale Antonio Baslini e approvata nel dicembre del 1970. Una legge sofferta, osteggiata a lungo dall’allora DC, ma non dall’elettorato cattolico che, infatti, bocciò il referendum abrogativo del '74, dimostrando che il Paese reale è spesso diverso, più avanti di quanto la politica immagini.
La legge in vigore - quasi identica a quella di allora se non per i tempi di attesa tra separazione e divorzio, inizialmente cinque anni poi ridotti a tre - prevede due fasi prima di arrivare allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Nella prima, quella della separazione, la coppia deve rivolgersi al Tribunale, trascorsi tre anni dalla sentenza di separazione deve essere promosso un secondo giudizio, per il divorzio. Solo quando la sentenza di divorzio è passata in giudicato, e a volte avviene dopo molti anni, il matrimonio è sciolto.
Questa complessa procedura comporta due giudizi, due sentenze, due difensori più due da pagare, due per ciascun coniuge, e, per i casi in cui la separazione sia consensuale, una media di almeno cinque anni di attesa. Considerato che in genere difficilmente si registra il consenso da parte di ambedue gli ex coniugi, per la sentenza occorrono a volte anche dieci, dodici anni.
Obiettivamente la legge in vigore appare “disconnessa”, lontana dalle esigenze delle coppie che decidono di non continuare un percorso di vita insieme e vogliono garantirsi la possibilità di costruire nuovi percorsi affettivi.
Il Parlamento non può che prenderne atto e trovare nuove soluzioni sul piano legislativo. Il doppio percorso e i tempi lunghi,  voluti nel 1970 dal legislatore come deterrente allo scioglimento del vincolo, oggi appaiono un anacronistico ostacolo alla formalizzazione delle scelte di vita che nel frattempo sono maturate.
Per questo i socialisti al Senato si sono opposti con fermezza allo stralcio dell'emendamento che avrebbe consentito, in assenza di figli e figlie minori o “non indipendenti”, la dissoluzione rapida del matrimonio.
Si è voluto invece, come spesso accade nel nostro Paese, ascoltare chi si oppone ai cambiamenti, a partire dalla Chiesa, ci si è appellati alla dissoluzione delle famiglie, dimostrando di essere ancora una volta distanti dalla vita reale del Paese.

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